Trecento società dominano il mercato dell'informazione: numerose fusioni e accordi hanno dato vita a veri imperi della comunicazione quali le americane Aol-Time-Warner e Viacom che insieme fatturano 40 miliardi di dollari l'anno, l'equivalente della ricchezza prodotta in un anno in Romania. Di queste: 144 sono nordamericane, 80 europee, 49 giapponesi e solo 27 interessano altre aree geografiche.
Ogni giorno le telescriventi delle agenzie di stampa battono 32.000.000 di parole che poi arriveranno a noi sottoforma di articoli giornalistici o servizi radiotelevisivi.
Ma di queste solo 55.000 provengono dai paesi del Sud del mondo.
L'80% della popolazione mondiale è quindi un interlocutore imbavagliato con cui non è possibile la comunicazione.
Monopolio di 4 agenzie:
Associated Press e United Press International (americane)
Reuter (britannica)
Agence France Presse (francese)
Radio, televisioni e giornali di tutto il mondo sono abbonati a queste agenzie e pescano le notizie nel mare dei lanci offerti con una conseguente conformazione dell'informazione che viene offerta.
Questo processo ha finito per espropriare i paesi meno avanzati del controllo sulla circolazione delle proprie notizie, costringendoli ad affidarsi a organizzazione di paesi culturalmente e politicamente diversi e a guardare se stessi attraverso lo sguardo e le parole degli altri. Ed è superfluo ricordare quanto l'informazione contribuisca a veicolare modelli sociali e culturali. Il problema riguarda anche le fasce più deboli della nostra società che spesso o non sono rappresentate in nessun modo dai media o lo sono in modo deformato e parziale.
L'informazione è diventata merce strategica: chi la controlla, controlla il mondo dal momento che la realtà viene sostituita da una realtà parallela e artificiale: quella mediatica. Un fenomeno che abbiamo visto in occasione di tanti reportage di guerra dove le notizie diffuse erano quelle create ad arte da chi quella guerra la stava gestendo, riuscendo così a costruire l'immagine del nemico nell'opinione pubblica.
La manipolazione della realtà è arrivata ad inventare il massacro di Timisoara in Romania, alla caduta di Ceausescu, parlando do oltre 4000 morti, quando i corpi mostrati dalle televisioni erano quelli di senzatetto in attesa di sepoltura al cimitero della cittadina. Oppure il salvataggio del soldato Jessica, la giovane americana prigioniera in un ospedale durante la guerra in Iraq, di cui è stata simulata la liberazione con effetti speciali stile Hollyvood, come svelato in seguito dalla BBC londinese.
Se analizziamo il ruolo dei media di fronte alle crisi degli ultimi anni vediamo che l'analisi dei fatti è sostituita dall'uso di stereotipi e semplificazioni.
Le notizie sono spesso appiattite dai ritmi dell'informazione televisiva, ma non tutti gli eventi sono riconducibili a delle immagini o ai 2-3 minuti che mediamente i telegiornali dedicano ad una notizia.
Le notizie di cronaca che ci giungono sono per massima parte di cronaca nera e per il Sud del mondo questa diventa una vera e propria regola. L'informazione che proviene da questi paesi ha sempre bisogno di un evento straordinario e catastrofico per guadagnarsi spazio sui nostri quotidiani o per conquistare un servizio di due minuti nei telegiornali. Oppure si finisce per parlare di Africa come conseguenza di una notizia che ha per argomento principale un fatto o una persona legata al Nord del mondo. Un migliore trattamento non è riservato alle questioni sociali del nostro paese. E' più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago che un'associazione, un ONG, un'organizzazione di base, riesca a trovare uno spazio nella rappresentazione mediatica. E questo sia per quanto riguarda la carta stampata, che le televisioni che le emittenti radiofoniche.
Le nuove tecnologie hanno reso possibili forme di trasmissione sempre più innovative, ma hanno anche accentuato il divario tra ricchi e poveri. Il fenomeno internet ad esempio che ha favorito il coordinamento delle mobilitazioni della società civile, resta comunque elitario con appena il 9,5 % della popolazione che vi può accedere.
Bisogna promuovere attraverso l'informazione la conoscenza della cultura, della storia e degli avvenimenti che influenzano la vita di un popolo. I mezzi di comunicazione devono servire per l'emancipazione e la creazione di rapporti di giustizia tra le persone.
I regimi dittatoriali, gli inganni delle multinazionali, gli attentati ai diritti dell'uomo sono mantenuti anche con la complicità del silenzio dei media internazionali e con la nostra disinformazione. Impariamo a non rinunciare al nostro diritto-dovere di essere informati per andare al di là degli stereotipi e per favorire un interscambio che possa creare rispetto e attenzione nei confronti di ogni uomo.
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